Lo chiamavano “El Mat”, era una creatura fragile e un grande artista
Dal 26 gennaio e fino al 26 maggio 2024, presso la palazzina liberty della Promotrice delle Belle Arti, potremo visitare una splendida mostra dedicata ad Antonio Ligabue, patrocinata dalla fondazione Augusto Agosta Tota, organizzata da SM. ART e curata da Giovanni Faccenda.
Oltre novanta opere descrivono l’itinerario artistico del pittore, che nacque a Zurigo nel 1899 e morì nel 1965 a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, dopo una vita tormentata.
“EL MAT”
A tredici anni appena, Antonio venne drammaticamente segnato dalla morte della madre naturale, Maria Elisabetta Costa, e di tre fratelli, uccisi da un’intossicazione della quale ritenne responsabile il padre adottivo, Bonfiglio Laccabue. In odio a lui, Antonio scelse di cambiare il proprio cognome in Liguabue e continuò a vivere con i coniugi Johannes Valentine ed Elisa Gobel, ai quali era stato affidato all’età di un anno.
Antonio – affetto da problemi psichiatrici e da malattie fisiche che si manifestavano anche sgradevolmente sul corpo – dovette affrontare i vari trasferimenti con i propri genitori alla ricerca di lavori saltuari e, per sfuggire alla miseria, lavorava come contadino o come guardiano di animali.
Nel 1919, espulso dalla Svizzera per aver aggredito la madre, si trasferì a Gualtieri – paese di origine di Laccabue – con il disagio di non conoscere ancora l’italiano.
Continuò a vagabondare da un luogo all’altro, rifugiandosi nei boschi per sfuggire alle umiliazioni e lo scherno della gente che lo allontanava chiamandolo “el mat”.
SFUGGIRE DAL MONDO E RIFUGIARSI NELL’ARTE
Antonio trovava conforto nel disegnare, nell’impastare con la saliva l’argilla della terra per farne piccole sculture, nel dipingere animali domestici oppure esotici, copiati da stampe e cartoline o immaginati.
Questa passione per la pittura, la scultura e il disegno furono per lui un’ancora di salvezza.
Nel 1928, grazie all’incontro col pittore Renato Marino Mazzacurati che ne colse
il talento, Antonio imparò alcune tecniche di pittura e l’uso dei colori ad olio.
Da allora si dedicò più intensamente all’arte.
Negli anni imparò a cuocere le statuette d’argilla.
Le sue pennellate si fecero più dense e materiche, i colori più vividi, le scene più profonde e dinamiche.
E così, tardivamente ma gradualmente, i suoi lavori cominciavano ad essere apprezzati.
Nel 1955 venne allestita la sua prima mostra personale a Gonzaga. Nel 1961 a Roma, alla galleria “La barcaccia” venne conclamato l’apprezzamento per la sua arte.
Ma i riconoscimenti s’intrecciavano costantemente con le gravi conseguenze della sua malattia mentale: le ossessioni e le crisi di autolesionismo e di aggressività che lo portarono a diversi ricoveri in manicomio.
ARTE COME “RACCONTO DEL TORMENTO”
Secondo il curatore della mostra, Giovanni Faccenda, l’arte di Ligabue rappresenta “il racconto crudo” dei suoi tormenti. Attraverso allegorie dei suoi amati animali (come tigri, vipere, cani, mosche e api), egli si rappresenta. Ci parla delle sue emozioni, spiega la sofferenza, l’emarginazione e il «torrido silenzio» creato da coloro che lo disprezzavano.
E di come, plasmando l’argilla o «guardando ossessivamente la propria immagine riflessa nello specchio vicino», livida dopo essersi ripetutamente colpito con un sasso il naso, o facendosi sanguinare le tempie, pensando così di «far uscire il male dalla propria mente», cercasse «di sottrarsi almeno temporaneamente, alla propria, fatale, odissea terrena».
IL PARALLELISMO CON ALDA MERINI E IL SUCCESSO
Giovanni Faccenda coglie similitudini fra la vita di Ligabue e quella di Alda Merini: artisti grandissimi, per molto tempo incompresi, perché in qualche modo percepiti come “diversi” e, quindi, emarginati.
Lo sguardo sulla loro arte venne a lungo deviato e fu offuscato dalle drammatiche vicende personali che essi attraversarono, ma la potenza della loro arte, infine, riuscì a risplendere.
Oggi la grandezza di questi artisti è indiscussa.
Le mostre dedicate alla pittura espressionista di Ligabue attraggono più spettatori rispetto a quelle di molti artisti di fama internazionale.
GLI ARTISTI CHE LO HANNO CELEBRATO
Al genio di Antonio e alla sua vita tormentata sono state dedicate molte biografie.
Colpisce quanto anche il cinema e la musica abbiano parlato della sua vita.
A Ligabue è stata dedicata una vasta filmografia: dallo sceneggiato televisivo interpretato da Flavio Bucci (con la regia di Nicotra) e trasmesso dalla Rai nel 1977, al il più recente “Volevo nascondermi” con Elio Germano (regia di Giorgio Diritti) del 2020. A lui sono, inoltre, state dedicate anche canzoni di autori del calibro di Augusto Dallolio, Marco Ongaro e Fabio Caparezza.