Mimmo Paladino fa ritorno a Bologna negli spazi cinquecenteschi di palazzo Boncompagni, in quella che fu la dimora di papa Gregorio XIII, nel cuore della città, a due passi da Piazza Maggiore e delle due Torri.
L’artista torna ad esporre nel capoluogo a cui è legato sia dal conferimento della Laurea ad honorem attribuitagli nel 2020 dall’Università Alma Mater sia per l’amicizia che nutriva nei confronti di Lucio Dalla.
Nel 50esimo anniversario di Arte Fiera l’artista Mimmo Paladino torna ad esporre con dipinti e sculture di grandi dimensioni in un luogo particolarmente suggestivo che esalta la sua poetica creativa.
La mostra è curata da Silvia Evangelisti.
Dopo Michelangelo Pistoletto, Marino Marini e Aldo Mondino, a palazzo Boncompagni ancora una volta si è aperta una mostra che vede un grande artista contemporaneo esporre le proprie opere negli spazi del palazzo che fu dimora di papa Gregorio XIII.
Artista dalle tante sfaccettature, nel corso della sua carriera Paladino ha sperimentato molteplici linguaggi, quali pittura, scultura e regia cinematografica, divenendo protagonista della corrente della Transavanguardia degli anni Ottanta, che, nella teorizzazione di Achille Bonito Oliva, individua un nuovo spirito del tempo in contrapposizione all’arte concettuale.
Se il dialogo tra le opere in mostra e l’ambiente circostante è costante, capace di creare un percorso suggestivo e coinvolgente, elemento ricorrente è il tempo, ciclico, che ritorna sempre uguale, rappresentato dalla spirale dell’infinito.
Questo dialoga con le opere e suggerisce sensazioni ancestrali, tali da superare le distinzioni geografiche o temporali, solo per il fatto di essere riconducibili all’essere umano in quanto tale.
La prima scultura in mostra ricorda una spirale, che indica come l’uomo si interfacci con il tempo e cerchi di dominarlo. Dietro la scultura si sviluppa la scala elicoidale attribuita a Jacopo Bronzi detto il Vignola, presenza che enfatizza l’opera di Paladino, il quale ha attivamente collaborato alla realizzazione della mostra. L’opera intitolata “Elmo” evoca la guerra e le gesta mitiche di Achille. Presenta alcuni simboli quali il labirinto, delle frecce, numeri e una bomba, che ne arricchiscono il significato, mostrando come la guerra sia dettata da principi ancestrali e sia un archetipo che ricorre nei secoli. Nella loggia si possono ammirare due statue in bronzo verniciato, senza titolo, che nella loro posa ricordano i Kuroi della Grecia arcaica. I volti sono delle maschere che creano un senso di universalità, rappresentando il genere umano. Accanto a loro un’opera che vuole essere una connessione tra Oriente e Occidente, dal titolo “Respiro”.
L’Oriente è rappresentato dagli ideogrammi giapponesi e dal colore rosso, l’Occidente dalla parola respiro.
La Sala delle udienze Papali ospita l’installazione di tredici cavalli neri.
“Non vedete il nero dei cavalli come un aspetto negativo- spiega Mimmo Paladino- ma il nero è energia; e poi chi meglio di un cavallo imbizzarrito può uscire da questa nebbia buia?”.
I tredici cavalli in resina si trovano in una sala cinquecentesca che impressiona il visitatore. Reca un camino monumentale, probabile opera di Pellegrino Tibaldi, e un soffitto affrescato dalle Storie di Davide e Golia. Questi cavalli in resina ricordano una delle più celebri installazioni di Mimmo Paladino, la Montagna di Sale.
Un’altra opera in mostra è una serie realizzata nel 2023 in tecnica mista su tela di iuta, dal titolo “Le Madonne nere”, una serie collegata alle origini dell’artista e che ricorda le icone votive popolari presenti sotto forma scultorea o pittorica agli angoli delle strade. Il nero dà qui la sensazione dello scorrere del tempo che le ha deteriorate. Il significato universale è quello della maternità, messaggio non religioso, ma spirituale. Un’opera blu senza titolo dialoga con una rossa senza titolo. L’artista lascia aperta la riflessione su quale sia l’opera a rappresentare la vita e quale la morte.
Nell’ultima opera esposta, intitolata “Corale”, realizzata a foglia d’oro su pannello, le figure non hanno un’identità specifica. Esse rappresentano la collettività. Non importa la loro etnia di appartenenza o la loro epoca di riferimento. Esse rappresentano l’umanità, elemento costante nella produzione dell’artista.
“Mimmo Paladino, artista del suo tempo- spiega la curatrice Silvia Evangelisti – dialoga con il passato e con i suoi archetipi, così come con il presente evocando nelle sue opere una profonda necessità di cogliere il mistero della vita e della morte che unisce gli uomini di tutti i tempi e di oggi in particolare”.