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Nicoletta Galisai ha studiato Lingue, culture e società dell’Asia orientale all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Nel corso della Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali e del Corso di Dottorato in Sociologia e Ricerca Sociale, ha portato avanti studi e ricerche sulla comunità cinese a Milano, con particolare focus sulle dinamiche intergenerazionali e transnazionali delle famiglie che la compongono. Le sue ricerche si sono soffermate soprattutto su un valore confuciano, la pietà filiale, che anche oltreoceano continua ad avere un forte significato nelle relazioni tra genitori e figli di nazionalità e origine cinese. Dopo aver vissuto per qualche tempo tra Wenzhou e Milano, è tornata a vivere in Sardegna dove, quando può, ama chiacchierare con le persone cinesi che hanno scelto di vivere nell’isola. È quindi la persona più adatta per parlare di come si celebra il Capodanno in Cina e di come, invece, viene festeggiata questa ricorrenza dai cinesi che vivono in Italia. Quali sono le caratteristiche principali di questa ricorrenza? E come mai il Capodanno Cinese viene celebrato in date diverse ogni anno? «Per determinare la data di questa festività – molto sentita dai cinesi, equiparabile per importanza al nostro Natale – non si utilizza il calendario gregoriano, ma ci si basa su quello lunare, utilizzato in Cina fino al 1912. Nonostante questo calendario sia caduto in disuso, ancora molte festività si basano su di esso: ad esempio, la festa di metà autunno, la Festa degli Antenati (in cinese Qingming (清明) e la festa del Dragonboat. Ad ogni modo, però, il Capodanno cinese cade sempre in un giorno compreso tra il 21 gennaio e il 20 febbraio. Secondo l’oroscopo cinese, sta per concludersi l’anno della tigre.  Si dice che i nati sotto questo segno siano caratterizzati da forza e tenacia: ottimi leader. L’anno che verrà è quello del coniglio: uno dei segni più fortunati di tutto lo zodiaco. Chi nascerà in questo nuovo anno, infatti, sarà longevo, godrà di buona sorte e sarà dotato di importanti abilità politiche». I Cinesi hanno particolarmente a cuore riti e festivitàI Cinesi ,in generale, celebrano sempre con grande trasporto matrimoni, funerali e molte altre ricorrenze. Però, tra tutte, il Capodanno è sicuramente la festa più sentita dal popolo. Anche perché è una festa che coinvolge tutta la dinastia Han, che è maggioritaria in Cina. Se volessimo fare un paragone con una nostra festività, per importanza, lo potremmo paragonare al nostro Natale. È una festa che si celebra in famiglia: ognuno si sposta dal luogo in cui vive o lavora per tornare dai propri cari. In Cina molte persone vivono lontano dai propri parenti: ci si sposta facilmente, anche a molti chilometri di distanza dalle famiglie di origine, per andare a lavorare presso i poli produttivi e le grandi fabbriche. Quella che si verifica, ogni anno, in occasione del Capodanno, è la migrazione più grande del mondo: si chiama “Chunyun”. I cinesi sono un popolo di stakanovisti: non sospendono le proprie attività lavorative neppure di domenica, o nel weekend. Eppure, in occasione del Capodanno, tutto si ferma. Almeno due settimane di totale riposo sono concesse a tutti. Chiudono persino i supermercati, e le università sospendono lezioni ed esami anche per un mese e mezzo. In quel periodo la Cina diventa spettrale». I Cinesi in Italia festeggiano allo stesso modo? «Per i cinesi ci è voluto del tempo per cominciare a festeggiare questa loro ricorrenza anche in Italia, dove ancora oggi viene celebrata in modo molto più contenuto rispetto alle loro tradizioni in. Col tempo, poi, hanno preso coscienza di quanto sia importante ricordare e valorizzare le proprie tradizioni, la propria cultura. Adesso infatti, anche in Italia, i Cinesi chiudono le botteghe e interrompono le attività in questo periodo dell’anno». In Cina come si festeggia? «Si partecipa al tradizionale cenone della vigilia. Si consuma la cena su una tavola solitamente rotonda, al cui centro vi è  un rullo su cui scorrono i contenitori delle pietanze. Ogni commensale vi attinge il cibo che ripone nel proprio piatto o nella propria ciotola. Sul tavolo ci sono sempre almeno otto piatti, perché l’otto è considerato un numero fortunato. Ed anche durante la notte, a festeggiamenti finiti, vengono lasciati otto piatti sulla tavola fino alla mattina successiva. Si cena abbastanza presto, poi ci si riunisce davanti alla tv per assistere allo spettacolo di fine anno. È uno show che viene trasmesso in tutta la Cina, nel quale sono rappresentate tutte le etnie presenti nella Repubblica Popolare. Durante lo spettacolo si possono vincere buste rosse contenenti soldi. Verranno poi regalate ai bambini: proprio quella notte e sono l’equivalente dei nostri regali di Natale. Con l’avvento della tecnologia, questi doni si possono ora inviare virtualmente ai parenti lontani, attraverso l’applicazione Weixin. Poi, il primo giorno dell’anno, le famiglie più devote si recheranno al tempio buddhista, seguendo un’usanza di buon auspicio per l’anno che verrà». Ci sono altri gesti “scaramantici” che vengono attuati in occasione del Capodanno? «Sì. Ai due lati della porta d’ingresso della casa, vengono appese strisce di carta rossa con frasi benaugurali: i cosiddetti “distici” (in cinese duilian, 对联), che hanno anche il potere di allontanare gli spiriti maligni. Sulla porta si appone anche il simbolo della fortuna, per attrarre buona sorte; e anche il simbolo del drago è di buon auspicio». Quali piatti tipici che vengono consumati durante la cena della vigilia? «Il piatto tipico cambia da nord a sud. Tendenzialmente a nord, soprattutto a Pechino, si preparano gli “Jiaozi” (餃子), ravioli ripieni di carne o di verdure. Al sud, invece, si festeggia consumando gnocchi di riso: i “Nian gao”(年糕), termine che in cinese significa “anno alto”, inteso come “anno eccellente”». Quanti giorni durano i festeggiamenti e come vengono chiusi? «I festeggiamenti durano in tutto durano circa quindici giorni: nei giorni successivi al primo dell’anno si vanno a trovare i parenti e ci si dedica soprattutto alla famiglia. Per tutta la durata dei giorni di festa vengono ininterrottamente esplosi moltissimi fuochi d’artificio e tutto il cielo della Cina si colora. Le celebrazioni si concludono con la Festa delle Lanterne (in cinese yuán xiāo jié, 元宵节). A me è capitato di partecipare a questa cerimonia in un paese del sud della Cina. Per l’occasione tutti gli abitanti del paese, fuori dalle proprie case, imbastivano lunghe tavolate e cenavano all’aperto insieme ad amici e parenti. Il piatto tipico di queste occasioni è il tangyuan (湯圓), che letteralmente significa “palla di zuppa”. Si tratta di polpette dolci a base di riso glutinoso, immerse in un brodo caldo o in uno sciroppo. Al termine della cena si assiste ad una parata di draghi e lanterne di vari colori, forme e dimensioni, ma va detto che questa usanza non è comune in tutta la Cina, perché è tipica solo di alcune zone. È stato emozionante assistere a questa sfilata: è uno dei ricordi più belli che ho del periodo in cui ho vissuto in Cina.» Perché questa festività ha così grande risonanza anche in Italia e, in particolare, a Milano? «I Cinesi hanno iniziato ad essere una comunità numericamente  significativa a Milano verso la metà degli anni Novanta. In quello stesso periodo hanno iniziato a prendere piena coscienza dell’importanza di non dimenticare la propria cultura, aprendo anche molte scuole di lingua cinese per insegnare ai figli la scrittura cinese e il dialetto mandarino. Le comunità più nutrite, poi, hanno sentito il desiderio di esternare i propri valori e le proprie tradizioni per farle conoscere al mondo. E questo è accaduto dapprima a Prato, che accoglie la più grande comunità cinese d’Italia, e poi a Milano. Il quartiere di Milano noto come “Paolo Sarpi”, già nel 2008 veniva considerato “Chinatown”. Il primo Cinese residente a Milano abitava proprio lì, in via Canonica, dove qualche negozio etnico era già stato aperto negli anni settanta. Poi, col passare del tempo, altri migranti, provenienti dagli stessi Paesi di origine, si sono trasferiti nella medesima zona di Milano. Questo fenomeno si chiama “catena migratoria”, ed è un processo molto comune tra i popoli che emigrano: un gruppo di migranti che s’insedia in una determinata zona favorisce progressivamente l’insediamento di nuovi individui di medesima provenienza. Ecco quindi che i cinesi, a Milano, hanno pian piano popolato tutto il quartiere Sarpi, e si stanno continuando a espandere in modo radiale rispetto a quel punto». Nel 2008 via Paolo Sarpi era già la via delle attività commerciali e dello “Street food”? «Non ancora . All’epoca , quella zona  era molto diversa: completamente carrabile e piena di negozi di vendita all’ingrosso. Quando poi, nel 2011, il quartiere è diventato pedonale, non è stato più possibile portare avanti questo tipo di attività. I Cinesi però, estremante flessibili e resilienti, si sono adattati subito al cambiamento, convertendo i negozi all’’ingrosso in negozi di vendita al dettaglio e di cibo d’asporto.» Sarebbe proprio quella zona, dunque, il luogo ideale per ospitare la famosa “Parata di Capodanno”. Che però quest’anno – per evitare assembramenti – sfilerà il 22 gennaio tra il parco Sempione e l’Arco della Pace. Su questo evento Nicoletta fa un’importante precisazione: «In realtà la parata non è un evento “mutuato” dai rituali tipici del Capodanno cinese. In Cina, il primo giorno dell’anno, non si tiene alcuna parata. I Cinesi, volendo far conoscere la propria cultura, si sono inventati questa ricorrenza per mostrare a noi italiani parte del loro universo simbolico. Gli studenti delle scuole sono i protagonisti di questa manifestazione: sfilano vestendo costumi tradizionali con grande orgoglio. Per loro questa sfilata rappresenta una grande conquista nel percorso di integrazione culturale. All’epoca delle prime immigrazioni, infatti, i loro genitori si percepivano come esclusi, soprattutto a causa delle barriere linguistiche. I ragazzi di seconda generazione, invece, non soltanto sono pienamente inseriti nella società italiana – perché sono nati e cresciuti qui da noi – ma vanno anche molto fieri di questa loro duplice identità».