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Cosa sta accadendo al cervello e ai comportamenti dei giovani a causa dei social.

Gli esperti di neuroscienza non ammettono repliche: fra gli 11 e i 25 anni avviene una delicatissima fase di crescita del Sistema Nervoso Centrale, più importante di quella della prima infanzia ed è a questa che deve andare tutta la nostra attenzione.

La capacità di modellamento del cervello determina la nascita della coscienza e tutte le future capacità intellettive. Durante la maturazione dell’encefalo le sinapsi tra neuroni sviluppano connessioni nuove, quelle vecchie si rafforzano, altre spariscono, secondo il fenomeno chiamato potatura sinaptica.

La giusta evoluzione del sistema nervoso dipende quindi dagli “allenamenti” a cui viene sottoposto, consistenti in rapporti umani, lettura, scrittura, manualità, scoperta, immaginazione. Il ciclo vitale che culmina con l’adolescenza può produrre qualunque tipo di personalità, con le sue unicità e le sue tipicità, e questo non dipende solo dal carattere o dalla dotazione genetica, ma dall’allenamento mentale e dall’abitudine allo studio e alla scoperta.

Oggi il principale allenatore dei giovani è il solo smartphone e i social network sono le palestre delle sinapsi; poiché sono passati oltre dieci anni dalla nascita e dall’uso massiccio di questi nuovi media, ora siamo in grado di cominciare a vederne gli effetti che, purtroppo, sono devastanti.

I social network provocano l’opposto di quello che promettono: isolamento invece di relazioni e impoverimento del linguaggio e della capacità di esprimere i sentimenti e i pensieri: sì perché lo scotto dell’essere sempre connessi è la perdita delle interazioni umane materiali, concrete, reali. La povertà linguistica nell’era della comunicazione virtuale sta asciugando il lessico a tal punto, che si è passati dalle 1.500 parole che un ragazzo scolarizzato conosceva nel 1975, alle 650 di uno di oggi. Anche questo è un grossissimo problema, perché le parole costituiscono la voce del cervello poiché esprimono pensieri, emozioni, opinioni e giudizi. Esse incidono sulla percezione del contesto e del mondo perché plasmano le strutture cerebrali stimolando il rilascio di neurotrasmettitori specifici e orientano le azioni. Il linguaggio, sia scritto che parlato, ci aiuta a ragionare, a mettere in ordine i pensieri, a categorizzare la realtà, a fare delle astrazioni. In sostanza la rarefazione lessicale impedirà alle future generazioni di esprimere pensieri e si arriverà a non concepirli più, perché non saremo in grado di esprimerli; in somma ci sarà una involuzione cognitiva importante, che se volessimo essere complottisti, allargherà sempre di più il divario tra chi studia e allena il cervello, che presumibilmente comanderà, e la pletora di regrediti ignoranti: la cosa mi agghiaccia!

Torniamo alla strumentalizzazione dei nuovi media. Dopo lo scandalo Facebook e Cambridge Analytica sappiamo tutti che i Social Network analizzano i profili degli utenti per manipolarli secondo obiettivi dettati dai centri di potere politico o economico, resi possibili dall’azione di tecnici che lavorano al buio delle loro postazioni informatiche, di cui non conosciamo l’esistenza; questo indirizza scelte politiche, acquisti, crea pensieri unici ma il danno più grave è sul cervello.

Gli studi della Twenge (Iperconnessi, 2018) riportano i dati dalle comparazioni fra generazioni di adolescenti prima e dopo la nascita dei nuovi media e dimostrano come si stiano creando colossali cambiamenti che riguardano la vita di milioni di giovani. Internet plasma le sinapsi in modo non corretto e con effetti deleteri, le facoltà intellettive si impoveriscono; cala l’attenzione, si smorza l’immaginazione, l’intelligenza e la ragione vanno alla deriva, la memoria non è più esercitata e la coscienza di sé si crea grazie al teatrino immateriale e finto dei like, piuttosto che con i dialoghi dal vivo.

Dove sono finite le poesie imparate a memoria e le tanto odiate tabelline?

Stiamo crescendo generazioni fragilissime sul piano psicologico perché più isolate, meno preparate alla vita, meno indipendenti, più bisognose di rassicurazioni, assolutamente estranee alle sfide e alla durezza della realtà ed esposte ad ogni capriccio dei burattinai proprietari dei Social.

Studi importanti hanno evidenziato come i giovani che fanno utilizzo quotidiano dello smartphone e di internet presentano squilibri chimici dei neurotrasmettitori del cervello rispetto ai coetanei che non lo fanno; la capacità cognitiva è significativamente ridotta ogni volta che uno smartphone viene usato, anche quando è spento.

I danni però purtroppo non sono solo di tipo strettamente neurologico, la sfera sessuale non se la passa meglio.

A causa della fruibilità illimitata via internet e social del porno, le nuove generazioni stanno vivendo non solo una diminuzione delle esperienze sessuali nelle varie fasi della crescita, ma anche la crescita della paura delle relazioni sentimentali e un generale calo di desiderio. Sta aumentando la schiera degli “asessuati”, cioè di coloro che vivono la mancanza di attrazione sessuale verso ogni genere, per non parlare dei disturbi della sfera fisica, oltre che emotiva.

Si tratta di persone che non provano alcun tipo di interesse riguardo al sesso.

Questo è soprattutto dovuto alla sovraesposizione dell’ipotalamo –zona antichissima del cervello dove hanno sede tutti i centri fondamentali per la vita e la riproduzione- alla stimolazione visiva da immagini a sfondo erotico.

L’industria del porno usa il web per i bassissimi costi rispetto al cartaceo o ai DVD e all’enorme e immediata divulgazione dei contenuti, e questo di fatto è oggi il principale mezzo di educazione sessuale utilizzato da chi cerca di soddisfare le curiosità nei siti, nei blog, nei social e nei film porno (secondo le statistiche rilasciate da YouPorn, l’85% degli uomini e il 41% delle donne hanno visitato almeno una volta un sito specializzato).

Dove voglio arrivare con tutti questi dati?

A spiegare l’esponenziale aumento di problemi della sfera sessuale, emotiva e sociale, che spesso sfociano in atti violenti e gravi a danno di coetanei e donne. Negli ultimi anni dati clinici hanno evidenziato l’aumento della disfunzione erettile nei maschi e della riduzione della libido nella popolazione –soprattutto maschile-  di età inferiore ai 40 anni. I ricercatori del Kinsey Institute hanno evidenziato come l’esposizione ai video pornografici provochi bassa responsività allo stimolo sessuale e aumento del bisogno della ricerca dell’estremo.

La video pornografia riesce a stimolare l’utente senza tregua, mettendo a disposizione “partner” sempre nuovi che forzano il Sistema Nervoso Centrale a rilasciare dopamina –il neurotrasmettitore che promuove ilo desiderio con il testosterone.

Come un tossicodipendente, il fruitore dal porno è succube di una costante voglia di dopamina che gli viene procurata solo da nuovi video pornografici, che Internet offre in quantità illimitata e gratis. Questa sovraesposizione determina una condizione di “anoressia sessuale”, che deriva dall’assuefazione agli stimoli e che può sfociare anche in impotenza e/o nella masturbazione compulsiva, di certo non nella ricerca di interazioni con partner reali, come avveniva per noi boomers.

Gli studiosi del comportamento sessuale umano hanno anche evidenziato come la pornografia usata come unica fonte di apprendimento della sessualità, visto il facile accesso ad Internet e la mancanza di un’educazione sessuale nelle scuole e in famiglia, dia una visione distorta e innaturale (porno dipendenza, false rappresentazioni della sessualità, ansia da prestazione, non distinguere la finzione dalla realtà, sviluppo di un linguaggio sessualizzato ed osceno).

Usare la pornografia come insegnante, con la sua rappresentazione esplicita dell’atto sessuale, porta ad una focalizzazione dei giovani esclusivamente sui genitali, lasciando poco spazio all’immaginazione e alla sperimentazione delle altre zone erogene. Tutti noi adulti siamo cresciuti sessualmente attraverso le esperienze rubate durante lo studio, nelle gite, nelle fughe in soffitta o in cantina, in cui ci toccavamo e sperimentavamo baci, carezze e scoprivamo il corpo altrui.

Quanto era bello e liberatorio, oltre che appagante, riuscire ad avere un orgasmo spesso rubato o un rapporto completo! Ci sentivamo degli dei, oltre che degli eroi…

Il risvolto più drammatico del porno mainstream violento, irrispettoso e pericoloso quasi sempre reperibile in rete, è che prende in considerazione il solo piacere maschile, rappresentato per costruire una sola immagine di uomo “dominatore”: bianco, etero, benestante.

Le figure femminili sono quasi sempre dedite all’esclusivo piacere dell’uomo, purtroppo degradate, relegate a un ruolo passivo in cui il loro godimento non è quasi mai contemplato, o se lo è, è un “regalo”, una “concessione” del dominante; a loro sono riservate in prevalenza le penetrazioni, escludendo quasi del tutto cunnilinctus, masturbazione e stimolazioni clitoridee, che rappresentano le vere pratiche soddisfacenti della sessualità femminile (solo il 48% delle donne raggiunge l’orgasmo attraverso la sola penetrazione).

Il messaggio che la donna è un oggetto sessuale nelle mani dell’uomo e che non solo il suo piacere è secondario ma inutile, e che può essere oggetto di ogni turpe azione, fa aumentare i casi di violenza sessuale e di prevaricazione, di cui sempre più spesso leggiamo anche ad opera dei più giovani. L’idea che alla donna piaccia essere oggetto di sesso di gruppo e penetrazioni improbabili è pensiero comune ormai tra molti di loro. In tutto questo e nell’epoca dei diritti gridati, non vogliamo aggiungere la discriminazione razziale? Chi mi legge abitualmente o mi conosce sa che non amo il politically correct, gli asterischi, gli incasellamenti e la salvaguardia di gay, transgender e foche artiche da garantisti ideologici, ma nella pornografia dilagante a basso costo e di cattivo gusto, le persone nere sono chiaramente di un “altra razza”.

Sono spesso, ancora, ricondotte all’idea dell’“uomo-animale dagli istinti selvaggi incontrollabili e dal pene enorme”, una rappresentazione razzista e lontana dalla realtà che perdura nel fondo del pensiero degli Occidentali, perfetta per soddisfare presunti insaziabili desideri femminili.

In sintesi la pornografia che i giovani reperiscono facilmente in rete è l’arma di un potere culturale, sociale e politico che si insinua facilmente nelle vite e nelle menti fragili ed esposte, difficilissima da gestire, smantellare o vietare, per la sua capacità di radicarsi e sedimentarsi e per la disinvoltura con cui viene divulgata.

Dopo questa parentesi sulla sessualità, torniamo agli aspetti della vita quotidiana che l’utilizzo massivo di internet e dei social sta modificando; la possibilità di navigare in rete e di vivere la propria esistenza in maniera a volte quasi esclusivamente virtuale sta incidendo anche sulla minore autonomia nello spostarsi e nel fare cose da soli degli adolescenti.

Dati della Motorizzazione Civile evidenziano come oggi i giovani italiani prendano la patente dopo i 21 anni, mentre quelli della mia generazione a 18! La prima cosa che facevamo appena compiuta la maggiore età era iscriverci a scuola guida e sbandieravamo il foglio rosa con orgoglio, neppure fosse la dichiarazione d’indipendenza dopo la rivoluzione…

Ormai è innegabile ed incontrovertibile la correlazione causale fra la frequentazione dei social network e la diminuzione delle interazioni sociali con conseguenti disturbi psicologici, maggiore possibilità di depressione e certamente aumento dell’infelicità. Purtroppo i dati dell’ultimo decennio dimostrano come i Social media e l’uso degli strumenti elettronici siano collegati a tassi più alti di solitudine, tristezza, depressione e rischio di suicidio.

Si esce di meno, si va meno alle feste, si frequentano meno amici ma il cellulare non lo abbandoniamo mai. Si dorme e ci si sveglia col “malefico”, lo si usa in ogni momento in cui non abbiamo incombenze o mansioni da assolvere, anche perché su quelli di ultima generazione abbiamo tutto ciò che serve per fotografare, trovare strade, luoghi, attività commerciali e ristoranti, ma soprattutto le identiche e schermate vite altrui, che tanto ci piace indagare.

Navigare rende più depressi, le energie per studiare o trovare un lavoro svaniscono, si rimane in casa ma sempre connessi (è il fenomeno dilagante anche in Europa, in Italia sono circa 70.000, dell’Hikikomori, i ragazzi in auto isolamento).

I social media spesso trasmettono messaggi violenti, sono uno strumento che deforma le relazioni umane creando più isolamento e infelicità, il cyber bullismo è più invasivo e aggressivo di quello da cortile: l’odio trova terreno fertile grazie alla frustrazione generata dallo strumento che più connette e meno rende socievoli, lo leggiamo ogni giorno nel veleno sputato dai “leoni da tastiera” in orribili post o commenti.

Insultare, detestare, denigrare, molestare e accanirsi contro i più inermi, sfruttando al riparo della virtualità la forza del branco, sono gli atteggiamenti prediletti dai social.

Ormai stremati e intristiti da tutte le brutte cose che vi ho scritto, siete certamente alla ricerca di un finale positivo: quale potrà esserci di bello?

Di certo un’educazione alla felicità non potrà prescindere dall’abolizione dei social network e mi auguro che quantomeno si assista a breve ad una loro severa regolamentazione e ridimensionamento. Estinguere il proprio sé virtuale è indispensabile per la rinascita piena del proprio sé reale, con tutte le sue straordinarie potenzialità.

Come farlo? Cancellandosi da Facebook, chiudendo Instagram ed eliminando Twitter e Tik Tok, già oscurato in molti Paesi del mondo per la dipendenza che crea negli utenti, soprattutto molto giovani. Evitiamo il cellulare quando parliamo con gli altri e con i nostri figli o siamo in casa. Un adolescente non dovrebbe mai usare internet per più di un’ora al giorno e mai prima di addormentarsi. Comportamento virtuoso non regalare uno smartphone prima dei 16 anni o, se proprio necessario, dotarli di uno che abbia delle applicazioni che ne limitano e monitorano l’utilizzo. Controllare il cellulare da parte dei genitori non è violazione della privacy, ma difesa dai predatori che scorrazzano impuniti nella rete. Insegniamo agli adolescenti e ai giovani, ma anche a tante persone sole adulte, che fuori dai social c’è la vita vera, lo sport, l’arte, il sole, i libri, il cinema, il sesso soddisfacente, gli amici.

Gli adolescenti che passano più tempo con i coetanei in carne e ossa e non ologrammati sono meno soli, meno depressi e più felici. Inoltre riposano di più, evitando di sbadigliare tutto il giorno, perché ammettiamolo, chi di noi non ha resistito alla tentazione qualche volta di fare le ore piccole guardando filmati stupidi e facendosi i fatti degli altri?

Purtroppo i Social sono nati con la promessa di offrire legami di amicizia, libertà di espressione, apertura e conoscenza, ma in realtà e per ragioni economiche e geopolitiche, sono diventati macchine per far soldi in questa società consumista e fatua, che troppo spesso fanno emergere il peggio che c’è in ognuno di noi.

Dopo ormai quasi vent’anni dalla loro comparsa sono convinta che il loro beneficio sia assolutamente insignificante rispetto al danno che producono a livello cognitivo, culturale, sociale, politico e affettivo. A causa degli effetti collaterali della profilazione, queste piattaforme sono il festival e il ginnasio quotidiani della banalità, del narcisismo, dell’arroganza e dell’aggressività a basso prezzo, se non gratuita, oltre al fatto che la frequenza di esposizione a strumenti che iperstimolano incessantemente il cervello, senza dargli il tempo di resettarsi ed elaborare, producono il prototipo di persona rispondente e funzionale al “potere”, che non vuole esseri che riflettono e pensano, ma solo consumatori in perenne ricerca del divertimento e della soddisfazione di ogni necessità, che non hanno concezione di valori fondamentali come il sacrificio, l’impegno e la fatica nella riuscita, nonché della meritocrazia.

Le nuove leve pensano che “volere” sia “potere”, ma ancor peggio, “riuscire sempre solo perché si vuole”.

Una delle cose che mi consola, è che morirò prima di assistere all’ulteriore scempio dei prossimi decenni cui la società occidentale sta andando incontro, che di fatto crede di vivere in democrazia solo perché esercita il diritto di voto e può disegnare i baffi ai manifesti elettorali, ma che in realtà è dominata da un regime che non usa la coercizione fisica, ma la peggiore seduzione tecnologica di una vita virtuale. Viviamo interconnessi da tecnologie che modificano i comportamenti con un potere sbilanciato enorme. Chi sta dietro ai “big data” conosce tutto di noi, noi non conosciamo quasi nulla di quello che ci fanno, secondo le logiche dei poteri forti del mercato e dei governi che li usano come laboratori di controllo sociale e politico.

La quasi totalità degli utilizzatori dei social non riflette sul modello economico al quale obbedisce e sull’imbroglio dei servizi di rete gratuiti, perché di fatto non lo sono mai. Fino a quando non saremo disposti ad avere servizi a fronte di un ragionevole ed esplicito esborso economico, come accadeva un tempo, la merce saremo noi e il sistema inevitabilmente userà i nostri dati e produrrà queste distorsioni che sono funzionali al consolidamento dell’attuale sistema economico.

Ora mi sento pronta per affondare il colpo di grazia a molte delle mie naturali convinzioni politiche ed ideologiche, che sempre più vengono minate dai comportamenti di una certa “sinistra”, che si è persa tra asterischi,  tutele illogiche e moraliste di minoranze o di orientamenti sessuali, creazioni di nuove religioni come il credo ambientalista, che fa il paio con il veganesimo, il cibo gluten free e i prodotti bio, tra la demonizzazione del “maschile” convenzionale della lingua italiana e la distruzione della scala sociale, per non  parlare delle accuse sempre pronte di apologia del Fascismo, se provi a esprimere un’opinione storica sul Ventennio. Tra le colpe che mi sento di addossarle, c’è la paura di criticare i sistemi tecnologici come i social media perché si sentirebbe conservatrice, anti modernista, insomma non “sul pezzo”.

Di fatto ha tradito la sua genetica fondativa e si è fatta paladina delle narrazioni anestetizzate dei progressisti tecnologicamente avanzati, dimenticando che i poteri forti, rappresentati anche dalle multinazionali del digitale, siano per natura neoliberiste, private e promotrici esclusivamente di interessi economici, alla faccia delle raccomandazioni del povero Marx, che si sta rivoltando nella tomba.

Meditiamo e torniamo alla realtà analogica ove possibile, perché quella digitale non sempre fa bene…