“In un borgo della Mancia, di cui non voglio ricordarmi il nome, non molto tempo fa viveva un gentiluomo di quelli con lancia nella rastrelliera, scudo antico, ronzino magro e cane da séguito“. E’ l’incipit di quello che la critica contemporanea definisce il primo romanzo moderno della letteratura occidentale. Era una domenica, il 16 gennaio 1605, quando venne pubblicato il Don Chisciotte (titolo originale: El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancia), il romanzo di Miguel de Cervantes (1547-1616). Vedeva così la luce la prima parte del libro che incontrò subito uno straordinario successo di pubblico. Per la prima volta in libreria grazie a Juan de la Cuesta, stampatore madrileno, l’opera di Cervantes conobbe in quello stesso anno ben sei edizioni. La seconda parte invece uscì dieci anni più tardi. Ma nel frattempo si moltiplicarono le traduzioni in italiano, inglese, francese. Quarto di sette figli di un modesto chirurgo, Cervantes non aveva avuto una gran fortuna nella vita. Dopo studi irregolari attraversò l’Italia come soldato. E da uomo d’arme nel 1571 prese parte alla battaglia di Lepanto, nel corso della quale venne ferito e perse l’uso della mano destra. La sfortuna non lo lasciò in pace: nel viaggio di ritorno verso la Spagna, nel 1575, venne fatto prigioniero dai turchi e incarcerato ad Algeri, dove rimase per cinque anni, al termine dei quali tornò in patria. Negli anni successivi, tra tanti tormenti, venne più volte incarcerato a causa dei debiti e delle frodi fiscali di cui fu accusato. E’ probabilmente durante i suoi “soggiorni” in galera che concepisce il disegno narrativo del Don Chisciotte, quasi fosse un tentativo di evasione attraverso la fantasia.Tratto, secondo lo stesso autore, dal manoscritto arabo di uno sconosciuto scrittore, tale Cide Hamete Benengeli (probabilmente un escamotage narrativo, utilizzato anche dal Manzoni ne I promessi sposi e da Umberto Eco ne Il nome della rosa), il volume ruota attorno al personaggio di Alonso Quijano, cinquantenne nobiluomo di campagna che, a causa del suo grande amore per la letteratura cavalleresca, si lancia in folli avventure smarrendo completamente il senso della realtà. Avvolto nell’armatura dei suoi avi, assunto il nome di battaglia di Don Chisciotte, a cavallo del suo magrissimo destriero Ronzinante, con il fido scudiero Sancho Panza, sorretto dall’amore per la sua Dulcinea del Toboso, si avventura in tragicomici viaggi nell’est della Spagna, alla ricerca della giustizia e dell’onore. La modernità dello stile (in cui convivono più esperienze letterarie, dal romanzo cortese a quello picaresco, passando per la letteratura pastorale) e della struttura narrativa, in netto anticipo sui tempi, consentì al Don Chisciotte di influenzare gran parte della letteratura successiva conservando il suo fascino in ogni epoca. Al punto d’essere riconosciuto come “la più grande opera letteraria mai stata scritta” dalla World Library 2002, una lista dei cento migliori libri stilata sui giudizi di cento scrittori di 54 paesi diversi. Dall’opera emerge anche una formidabile spinta verso l’idealismo, un irriducibile senso di giustizia e una grande sete di cultura che fanno del Don Chisciotte un libro potente. Ecco perché è bello, in conclusione, ricordare l’apertura e la chiusura della splendida ballata che gli dedicò Francesco Guccini: “Ho letto millanta storie di cavalieri erranti, di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza. Nel mondo oggi più di ieri domina l’ingiustizia, ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia; proprio per questo, Sancho, c’è bisogno soprattutto d’uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto.. “Il “potere” è l’immondizia della storia degli umani e, anche se siamo soltanto due romantici rottami, sputeremo il cuore in faccia all’ingiustizia giorno e notte: siamo i “Grandi della Mancha”, Sancho Panza e Don Chisciotte !”..