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Negare la buona fede a chi ha responsabilità politiche è un atto grave. Ed io, pur non condividendo   la linea politica dell’attuale governo, non mi voglio spingere a tanto. Ritengo sia giusto da parte degli oppositori non mettere in discussione la buona fede dei rivali politici, anche nel rispetto di quegli elettori che ne sostengono l’operato. Ragiono perciò del premierato come possibile “truffa” (ma sarebbe più corretto parlare di “trappola”) nella quale rischiano d’essere coinvolti gli stessi proponenti di una riforma costituzionale concepita affrettatamente e forse incautamente avanzata.

La fretta sta nel fatto obiettivo che la proposta venga dal Governo invece che dal Parlamento, come sarebbe stato normale mel caso di una riforma costituzionale.

Non resta quindi che ragionare di quanto incautamente la riforma sia stata avanzata.

1. Il punto dolente

Non c’è dubbio che, nel corso degli ultimi decenni, il Governo, cioè il potere esecutivo, sia che fosse di Destra, sia che fosse di Sinistra, abbia ridotto a proprio apparente vantaggio il potere legislativo e quello giudiziario. Il potere legislativo perché il Governo ha di fatto legiferato e portato avanti delle riforme, diventate legge anche grazie al ricorso più o mano sistematico al voto di fiducia; il potere giudiziario perché accusato d’essere “persecutorio”. Accusa che pare fondata a tanti italiani, i quali non si chiedono come mai i tempi lunghi di certi processi trasformino in vittima chi è solo indagato e che, se innocente, dovrebbe avere interesse a premere per accelerare i tempi del processo, arrivando magari a proporre una legge che dia priorità assoluta a processi penali in cui siano indagati personaggi politici. Cosa che, da Berlusconi in poi, nessun politico ha fatto, mirando piuttosto ad allungare quei tempi. Per dirla tutta, ci si è perfino appellati anche all’ impossibilità di presentarsi davanti al giudice a motivo dei gravi impegni pubblici ai quali il politico non può sottrarsi. Non sono stati pochi i processi mai conclusi per l’intervenuta prescrizione del presunto reato, che presunto è restato per il continuo differimento delle fasi del processo stesso.

Sicché noi italiani non sappiamo se alcuni degli onorevoli indagati siano colpevoli o innocenti.Fatto che obiettivamente ha finito con l’indebolire l’apparato giudiziario nei confronti di quello politico.

A sapere qualcosa di più circa la situazione reale dei fatti sono quei grandi elettori che, procurando voti e finanziando la campagna elettorale, hanno con i politici rapporti più diretti ma il piccolo elettore che vota facendo appello alla propria coscienza politica è da questi fatti disorientato. Si potrebbe parlare a questo punto di una democrazia imperfetta in quanto censitaria, discriminando tra cittadini che sono interlocutori reali del mondo politico e cittadini che del mondo politico hanno un’immagine confusa e frammentaria che passa per i filtri dei canali di informazione. Del resto anche a questo si riferisce la distinzione tra grandi e piccoli elettori, dove i grandi elettori hanno interesse a votare e i piccoli elettori, disorientati e confusi, tendono a diventare elettori sempre più virtuali, che a volte votano, a volte no, se non hanno addiruttura deliberato di rinuciare sistematicamente al diritto di presentarsi  alle urne in occ asione delle elezioni politiche.  

Tutto questo ha contribuito ad allargare i rebbi di una forchetta che, nello spirito della nostra Costituzione repubblicana, si sarebbero dovuti tenere stretti fin quasi a essere inesistenti. Alludo alla differenza tra chi governa e chi di fatto, a onta di tutti i principi conclamati dalla Carta costituzionale, si trova oggi a essere governato, come esplicitamente sostengono politici e giornalisti.

2. La gravità di una situazione politica generale

Questo punto mi appare grave e fa del Governo (non di questo governo particolare) ma del Governo come realtà istituzionale, un arrogante interlocutore del cittadino, interlocutore che tende sempre di più a impartire ordini.

Noi siamo cittadini in quanto la spinta data alla svolta democratica è nata da quelle comunità libere che in passato si sono chiamate “comuni”, quindi città libere. Furono queste città, centri commerciali e culturali a spingere per la modernizzazione dell’Italia. Intendo dire che quando agli inizi dell’Ottocento si giunse a chiedere la Costituzione, si propose un modello di frammentazione del potere centrale in poteri distinti, come era di fatto all’interno delle amministrazioni cittadine, dove il potere di governo spettava al sindaco e alla giunta, il potere giudiziario ai giudici e quello legislativo al potere centrale. Di qui nacque l’idea di un Parlamento elettivo.

La verità è che il cittadino, partecipe dell’attività politica del Paese, non va propriamente governato, espressione per più aspetti mortificante della sua dignità. Si governano in senso proprio le bestie da lavoro e c’è stato un tempo in cui si governavano sudditi e regnicoli. Il cittadino delle città libere si governa da solo, secondo i patti convenuti con gli altri consociati assieme ai quali si è costituita l’universitas civium, vale a dire la “comunità dei cittadini” che vivono e lavorano in quella data città. 

Infatti, come è scritto nell’Art. 1 della Costituzione:

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Tra queste due asserzioni c’è un nesso logico evidente. La prima dice che tutti lavoriamo. La seconda che qualsiasi sia la politica da perseguire, essa risponde a spirito di servizio, cioè alla foma più nobile e alta di lavoro.

Nei fatti quel maledetto senso comune, che finisce con l’imporsi nel linguaggio corrente, e che non va frainteso col buon senso, ha fatto dell’Italia un paese di lavotatori che faticano (e pagano le tasse) e datori di lavoro che sono signori (e hanno agevolazioni fiscali e finanziamenti pubblici) o che, per lo meno, tendono, legittimanente (?), perfino agli occhi di chi lavora, ad esserlo perché nessuno glielo può proibire.

Circa la sovranità che appartiene al popolo, il senso comune ha nel tempo deliberato che il popolo abbia diritto di demandare ad altri il difficile esercizio della sovranità, intesa quale potere. E si è tornati a mitizzare nel bene e nel male il gioco delle “segrete cose”. Si bestemmiano così due importanti traguardi di civiltà sanciti dopo la lotta di Liberazione. Il primo è la Costituzione repubblicana, il secondo quello spirito di modernità che, da Montesquieu in poi, è stato rivendicato dalle menti più aperte. Si direbbe perciò che gli italiani vogliano quasi tornare nelle braccia del Leviatano di Hobbes, vinti e convinti da detti del tipo “tanti galli a cantar non fa mai giorno” e altri stupidi ritornelli del genere.

3. A filo di logica

Tornando ora al punto di partenza del mio ragionamento, non può certamente incolparsi l’attuale governo di tutto quanto è accaduto negli ultimi trent’anni. Come Governo però è pure giusto che il governo Meloni (spero sia chiaro questo gioco di maiuscole e minuscole) si faccia carico, vista l’intricata situazione, dell’obbligo di mettere in chiaro quel che va chiarito. L’idea che il Governo si elegga, designando i cittadini il leader a cui spetta il compito di formare un nuovo governo, non sembra ispirarsi, nel clima attuale, a criteri democratici per poche ma precise ragioni.

1. Noi fin qui abbiamo eletto deputati e senatori, i quali compongono i due rami del Parlamento italiano. La volta che il premier fosse eletto dal popolo, riscuotendo la fiducia del popolo, il Parlamento perderebbe la funzione delicata che gli è pure riconosciuta di legittimare il Governo, sia nel concedergli la fiducia, sia nel negargliela. Una fiducia riscossa dal voto popolare che dura cinque anni in tempi che si annunciano difficili per via di giochi politici internazionali complessi, rischia di tradursi in una cambiale che potrebbe non essere mai riscossa.

Aggiungerò che se c’è qualcosa che irrita nell’atteggiamento della compagine di questo governo, è il sistematico ripetere d’essere stati eletti dal popolo. Cosa che non è vera perché l’alleanza politica che è al governo ha riscosso circa la metà dei voti espressi dai cittadini alle ultime elezioni politiche, nelle quali i votanti sono stati la metà degli aventi diritti. Sicché fatti i conti questo governo che non è stato eletto è lo specchio di un orientsmento politico appartenente ad appena un quarto degli aventi diritto al voto.

2. Si dice che si vogliono evitare i giochi di Palazzo, ennesima espressione volgare, cioè frutto di una divulgazione approssimativa di concetti filosofico-giuridici assai complessi, che sembra volta a minimizzare il ruolo del Capo dello Stato quale garante della Costituzione. Non si possono chiamare disinvoltamente giochi di Palazzo quelli dettati da ragioni istituzionali. Né l’appellarsi ad esempi che più o meno pretestuosamente pretendono di avvalorare una tesi pericolosa, vale a fare di un caso la regola. Fin qui, quando cade un governo, il Capo dello Stato ha dato il via alle consultazioni confrontandosi con i leader dei partiti e altri rappresentanti della vita politica, al fine di individuare la persona su cui far cadere il maggior numero di consensi e affidargli l’incarico di formare il nuovo governo. Operazione che può riuscire ma che a volte non riesce, per cui occorre ricominciare da capo. Queste lungaggini, mi dispiace dirlo, sono garanzia di democrazia perché il Governo non governa accontentando gli elettori ma governa nell’interesse di tutti, dai neonati ai vecchi decrepiti che non seguono più le vicende della politica perché hano perso l’interesse che una volta avevano. Occorre perciò che ci sia un certo gradimento anche da parte dell’opposizione. Per questa ragione tante volte non è stato il leader di un partito ad essere designato ma un esponente politico che neppure fosse obbligatoriamente del partito di maggioranza relativa, sul quale potessero convergere i consensi di una maggioranza.

3. È stato fin qui possibile affidare a un “tecnico” il compito di formare un governo. L’attuale classe politica sembra arricciare il naso di fronte a possibilità del genere. Non sono d’accordo. Non si è politici perché uomini di partito. Si è politici perché si ha talento politico. Talento che sviluppa normalmente chi, per motivi di lavoro, abbia rapporti internazionali qualificati e sia noto all’estero come persona capace e con referenti sicuri. Qui mi permetto di dire che, per quanto non fosse il migliore governo possibile, il governo Draghi era comunque più attento dell’attuale alla realtà europea e capace di interloqire a livello internazionale con maggiore autorevolezza e credibilità del governo Meloni, la cui colpa semmai è di essere un po’ troppo “politico” nel senso corrente del termine.

Concludendo

Chi però è consapevole di tutto questo, non può rassegnarsi a perdere le libertà acquisite in secoli di storia. Se la riforma del premierato “la spacca”, magari anche dopo essere stata approvata, questo governo che di fatto legifera e, col consenso crescente della popolazione, tende a sottrarre quanti ne fanno parte a qualsiasi minaccia provenga dall’autorità giudiziaria, si attirerà probabilmente più critiche del sopportabile.

Se di queste piccole ma succose verità si rendono conto gli Italiani, io credo che tanti che non hanno finora votato, potrebbero tornare a votare con lo scopo di mutare rotta.

Venendo al dunque, il rischio, che corre la Destra che attualmente è al Governo nel varare la riforma del “premierato”, è che, alla fine della legislatura, di fronte all’ennesimo ceffone mollato alla faccia della democrazia, gli italiani votino contro.

Detto a chi voglia intendere. Non è che per questo le cose cambiarebbero poi tanto nel Paese. Ci sono anche a Sinistra personaggi, cioè leader politici, pronti a raccogliere sotto sotto l’eredità della Destra.

Più “simpaticamente” sornioni, condanneranno probabilmente a parole l’operato del governo uscente, ma circa l’opportunità di coreggere una riforma che comunque c’è ed è legittima, vireranno verso un paternalismo bonario, concedendo agli avversari attacchi e critiche e garantendo al “popolo” la pagnotta e lo stadio, lasciando a chi voglia essere onesto la libertà di farlo. Coi furbetti se la faranno loro, politici di razza.  

A questo punto però, parlando da libero cittadino un po’ fuori dai denti, vale la pena ricordare sia a Destra che a Sinistra che la politica quale nobile arte esige che l’ingenuità dell’elettore venga corretta dalla lungimiranza di chi governa.

Churchill, che era un uomo di Destra, compiuto il suo lavoro, per cui riuscì nell’intento di sconfiggere la Germania nazista, ebbe l’intelligenza di mettersi da parte. Forse proprio perché era un vero politico.