Si intitola “Figures du Fou : du Moyen Age aux Romantiques” la nuova mostra che il Museo del Louvre dedica alla follia. In realtà “fou” è traducibile come “stranezza della malattia mentale” e con l’espressione di una più comica buffoneria.
La mostra comprende trecento pezzi tra manoscritti miniati, libri a stampa, arazzi, incisioni, sculture, oggetti preziosi e utensili che stanno a dimostrare come la figura del folle abbia invaso l’immaginario diventando al tempo stesso strana ed eversiva. Sono stati protagonisti atipici del Medio Evo e del Rinascimento artisti sovversivi che si ritrovano in libri e in dipinti. Dal Medio Evo al Rinascimento il pazzo non era un malato di mente, ma un personaggio che aveva lo scopo di intrattenere il pubblico ( il popolo e la corte ) e distrarli con buffonate. Il folle è anche colui che usa la sua arte per mettere in guardia, deridere, denunciare o rovesciare l’ordine costituito, e infrangere i codici di correttezza della società rappresentandone gli eccessi. Il folle è apparso nel Medio Evo come una persona che rifiuta Dio, un personaggio delle favole e dei proverbi che appare ai margini della società. Questo personaggio può assumere diverse forme, contagiare uomini e donne, giovani e anziani, quando viene coinvolto nell’amore. La passione per l’amore si trasforma in follia, causando la perdita di uomini e portando alla lussuria e alla morte. Il folle divenne una figura famigliare per la nobiltà, la intratteneva con una serie di giochi e acrobazie durante le feste, e il suo comportamento stravagante lo metteva in contrasto col saggio monarca: divenne un elemento quotidiano nei giochi di scacchi, una figura nei giochi di carte e, nelle città, si poteva trovare impegnato in carnevali, mentre indossava costumi dai colori sgargianti. Le opere in mostra sono riunite nello spazio della Hall Napoléon, e consentono al visitatore di compiere un viaggio nell’arte del nord Europa, attraverso mondi fiamminghi, germanici, anglosassoni e francesi, mettendo in luce un Medio Evo profano, affascinante e molto complesso. Il viaggio si conclude con il trionfo della ragione e l’Illuminismo, e con il recupero messo in atto da artisti, nel XIX secolo, come Jusepe de Ribera, Téodore Géricault, Tony Robert Fleury e Gustave Flaubert, che mettono in luce aspetti di realtà diverse. Anche San Francesco compare tra i folli, ritratto verso il 1250 dal Maestro di Anagni, in quanto “folle di Dio” e simbolo di un nuovo modo di concepire la religione, e quindi di una pazzia positiva.
Un’altra opera esposta in mostra è “L’estrazione della pietra della follia” di Jéröme Bosch, che si fa beffe dell’ignoranza dei contemporanei e degli specialisti sul tema della follia. Qui il folle è visto come un innocente di fronte a un medico disonesto e ignorante che predica al coro e porta un imbuto in testa.
Mara Martellotta