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La bandiera Europea possa “tingersi di verde” (N. Tocci)

La mia è una generazione spezzata. Non è la sequenza degli shock: i nostri genitori hanno vissuto traumi anche più intensi, forse. E’ il ritmo degli shock, la sensazione che il futuro abbia generazionalmente smesso di funzionare come prospettiva migliore del presente”.  (G. Brizio)

Entro i prossimi dieci anni  la crisi climatica, che sta inaridendo il pianeta, ci porterà davanti a un bivio e ci richiederà di scegliere. Resteremo ancora scelleratamente disimpegnati, persino indifferenti al nostro stesso destino? Continueremo a perseguire interessi economici, utilitarismi, egoismi spregiudicati che si rivelerebbero – a breve termine –  sterili e  disastrosamente autolesionistici per noi stessi, per  tutta l’umanità?

Oppure sapremo imprimere – finalmente! – una svolta decisamente ambientalista, tale da poter fermare la china sulla quale stiamo scivolando?

Sembrerebbero domande retoriche, se non fossero i movimenti ambientalisti a ricordarci doverosamente, con la  frequenza del mantra, che non abbiamo un altro pianeta su cui poterci trasferire e ricominciare. E che, una volta superato il punto di non ritorno, anche le più gravi criticità che stiamo attraversando – in questa drammatica situazione di policrisi diffusa – nulla sarebbero rispetto al problema dei problemi: la nostra stessa sopravvivenza su questa Terra, che continuerebbe a girare senza di noi, come faceva prima del nostro passaggio. Quel pianeta che abbiamo ereditato dai nostri padri, ma che avremmo dovuto proteggere e preservare meglio: perché lo stiamo “tenendo in prestito” dai nostri figli, ai quali dovremo “restituirlo”, risanato e migliore.

Policrisi e permacrisi

In questi ultimi anni, siamo al centro di un intreccio di criticità drammatiche che ci disorientano. Probabilmente  perché in passato non abbiamo sapute coglierle nelle loro scaturigini iniziali, quando avremmo potuto provare a disinnescarle o almeno a depotenziarne le conseguenze ulteriori. Sta di fatto che, spiazzati, non riusciamo ancora ad immaginare le pur prevedibili conseguenze.

Con espressione felice – come talvolta avviene per descrivere situazioni infelici –  Marco Zatterin scrive che in questi anni “la Storia e le sue vicende hanno cessato di costruirsi una sull’altra, una dopo l’altra. Gli eventi accadono brutalmente, si affermano saltandoci addosso. Colpiscono a tradimento. Tanto che può capitarci di chiederci : “com’è che è successo ?, ma anche “che cos’è successo davvero?”.

Esagerato parlare di policrisi?

Possiamo elencarne anche soltanto alcune, di queste criticità, e sarebbero già sufficienti a scoraggiarci, oppure a farci impegnare per superarle. L’acuirsi del fenomeno migratorio – che non dovremmo più chiamare emergenziale, ma strutturale – sempre più difficile da gestire. La pandemia Covid 19 e il timore che altre forme di contagio diffuso possano ripresentarsi e trovarci impreparati. La guerra fra Russia e Ucraina, che sta  letteralmente decimando quella gioventù, e dunque lo stesso futuro di quelle nazioni. In varie parti del mondo e di continuo, a macchia di leopardo, non sono mai cessate le guerre. Tutte ci addolorano e ci indignano. Ma questa, alle porte dell’Europa, ci spiazza dalle nostre radici: perché  ci è vicina non soltanto geograficamente, ma anche sentimentalmente, come ha detto Michele Ruggiero in una delle presentazioni dell’ultimo numero cartaceo de La Porta di Vetro, L’Europa alle urne.

Che senso ha la distruzione di un Paese per conquistarlo ridotto a rovine; intossicare le terre su cui germoglia il grano per il mondo; mettere in conto che altri morti fra popoli e soldati fratelli, che parlano le stesse lingue, imparentati da legami di sangue, che oggi è sangue versato? Con apprensione crescente, mantenendo sinottico lo sguardo, al contempo ci domandiamo che cosa fare per risolvere urgentemente le drammaticità  – che sembrano irrisolvibili anche per la nostra impotenza – in Medio Oriente.

E ancora, dovunque nel mondo:  la crisi economica, il regresso dei diritti o lo svuotamento dall’interno delle democrazie europee, ridotte a simulacro di ciò che davvero è la democrazia, al di là del votare e del conteggio dei voti.

E ancora, il ritorno al Medioevo più arcaico in Afghanistan; le repressioni  violente – anche nelle loro manifestazioni minime – della richieste di libertà di  donne e uomini in Iran.

E ovunque una crisi economica che compromette la qualità della vita e la possibilità di cure, sempre meno accessibili. L’erosione dei diritti sociali, il generalizzato arretramento della civiltà, anche attraverso l’attentato ai diritti civili che si ritenevano conquistati e ormai acquisiti per sempre, anche nei Paesi Europei.

E’ poco? Non è tutto: questi sono soltanto esempi ed effetti; mentre la progressiva desertificazione del pianeta ci lascia presagire nuove ondate migratorie e nuovi inneschi di conflitto per la progressiva  carenza di altri beni essenziali. Ad esempio, per l’acqua, che sarà il nuovo oro bianco.

Tutto è connesso, tutto ci riguarda

E avviene in questi anni, in questo momento: qui ed ora, o quantomeno assai vicino a noi. Insomma: “una sequenza impressionante di criticità”, come ha scritto Luca Jahier nel suo ultimo libro Fare l’Europa, fare la pace, che certamente non avevamo visto arrivare, e che non potremo affrontare se non in un quadro sistematico e con una logica intersezionale. Queste emergenze si affacciano  alla nostra porta all’improvviso, ma soltanto  perché non  abbiamo saputo vederle.  Forse, perché cominciavano ad originarsi in luoghi che sentivamo lontani, a “distanza di sicurezza” dalla nostra tranquilla quotidianità, dal nostro limitato ambito di esistenza e di influenza. Ma ciò non giustifica e non assolve dalla mancanza di lungimiranza politica.

In realtà nessuna  problematica è separabile dall’altra: esse vanno “prese in mano” assieme – e fin da sùbito. Provengono da lontano anche  nel tempo e rischiano di protrarsi a lungo: tanto da definire una “permacrisi”, ha osservato ancora Jahier.

Disorientati e spiazzati, sì, ma possiamo farcela?

Tutto si intreccia: le avvisaglie della natura ci parlano di emergenza climatica, della “distruzione degli ecosistemi che aumentano i salti di specie del virus o lo scontro per i combustibili fossili” (G. Brizio), di aumento della fame e della sete, ovunque. Ne sono conseguenza le migrazioni di portata storica, a causa della crisi ambientale che esaspera la fame e la sete che  da sempre  mordono  le carni nel Sud del Mondo. La crisi economica generalizzata,  va ingravescendo anche là dove non si pensava che sarebbe mai arrivata.

E che dire della politica? Ad esempio: della insufficiente attenzione internazionale all’annessione della Crimea alla Russia nel 2014 (attraverso i famosi  “omini verdi” che non erano marziani). Fu quello uno degli antefatti della crisi russo–ucraina, dal 24 febbraio 2022 sfociata in guerra. O vogliamo parlare della successiva e ineffabile decisione dell’Occidente di andar via dall’Afghanistan: deludendo soprattutto le donne che avevano cominciato a svelarsi, ricominciato a studiare e a confidare nel riscatto di un futuro diverso? Questi sono soltanto alcuni degli esempi di quanto stiamo attraversando.

Possiamo farcela, a patto che…

Come non cogliere una connessione, un nesso inestricabile fra tutte queste evidenze che sembrerebbero disomogenee ? Una rete di nodi che non potremmo tranciare gordianamente ,ma che dovremo pazientemente allentare e poi sciogliere attraverso leggi urgenti, efficaci e lungimiranti; trattive diplomatiche pazienti (quanto all’ascolto ed alla capacità di compromesso verso il bene dei popoli) – ed urgenti nell’approdare verso soluzioni pacificatrici.

Dovremo affrontare contestualmente le varie criticità  interconnesse, la più urgente delle quali, la più fondamentale – quella da cui  tutte le emergenze derivano – è comunque la questione climatica: poiché “tutto dipende dal clima: l’agricoltura, la salute, le migrazioni, i commerci, la sicurezza delle infrastrutture, il funzionamento della vita sociale, lo sviluppo della civiltà umana” . Perché “la crisi ecologica è astronave madre  di  tutte le disuguaglianze, ma anche piattaforma di ogni cambiamento possibile”, ha scritto Giorgio Brizio nel suo libro “Per molti anni da domani”.   

… L’ambiente prima di tutto

A patto che – ad “invertire la rotta, tenere aperta la finestra del grado e mezzo ed evitare le conseguenze più drammatiche della crisi climatica , che negli ultimi anni si è manifestata in tutta la sua forza” – convergano e si impegnino le migliori sensibilità ambientaliste, guidate da governanti capaci di concretizzare politiche lungimiranti virtuose ed efficacemente riformatrici ed alleanze programmatiche internazionali, le più ampie possibili.

Da queste considerazioni comincia l’analisi di Giorgio Brizio: una importante raccolta di analisi e proposte di giovani attivisti ambientali, decisi a prendersi nelle mani quel futuro che loro appartiene.

Si tratta di una selezione di ventisette temi – tanti quanto sono i Paesi dell’Unione Europea – che concentrano l’analisi  su problematiche specifiche delle diverse Nazioni d’appartenenza, ma la propongono all’attenzione di tutta la Comunità Europea,  considerandone anche i possibili riverberi sul resto del mondo. Perché tutto è sempre più  interconnesso.

Gli scrittori sono soprattutto giovani, ed è giusto che sia così: “ Il cambiamento climatico è in cima all’agenda dei giovani”, scrive il ventenne Brizio, che ha perfettamente ragione, quando afferma che esiste una certa idea dei giovani che “piacciono tantissimo quando vincono i tornei sportivi o portano freschezza nella musica internazionale“. Ma quando esprimono dissenso su molteplici temi – il clima, la  disoccupazione, il disagio psichico sempre più diffuso (“sentinella di come stanno andando le cose e di cui dovremmo preoccuparci”) non piacciono più. E ogni volta che “si azzardano alzare la testa – quando c’è un dis – davanti – non vengono ascoltati, vengono repressi”.

Sono molteplici e analiticamente trattati i ventisette temi, che nella loro diversa specificità rispecchiano concretamente il nostro essere cittadini dell’Unione Europea, il cui motto è  proprio “Unità nella diversità”. Diversità che è ricchezza ed energia creativa che non dobbiamo spegnere, ma semmai incoraggiare.

E’ necessario un patto intergenerazionale, che si fondi sull’energia e la voglia di futuro dei giovani e l’esperienza di “chi ha visto più inverni, ha più conoscenze e risorse ed è chiamato ad aiutare chi di un inverno normale non ha mai fatto esperienza”. E occorrono menti politiche  illuminate  per concretizzare questa necessità, che è comunque fortemente presente nella vita quotidiana delle  persone, nei popoli. Anche quando è  soltanto una sensazione che manca delle  parole per essere espressa.

E’ fondamentale la  correlazione fra tre elementi :  la gravità della situazione , l’improcrastinabile dovere di agire – e di farlo bene – e la qualità dei soggetti politici che dovranno raccogliere, riprogettare e vincere  la sfida.