La Sacra di San Michele è il monumento simbolo del Piemonte, candidata ad essere Patrimonio Universale dell’UNESCO e protegge l’imbocco della Val di Susa da 11 secoli circa. L’Abazia, sfidando i principi della fisica, domina la cima del Monte Pirchiriano a Chiusa San Michele, evocando bellezza, fascino e mistero; quest’ultimo la avvolge fin dalla sua costruzione, avvenuta tra il 983 e il 987 d.C. Molte leggende infatti provano a spiegare la storia della sua fondazione; la più accreditata racconta che Giovanni Vincenzo, un frate benedettino giunto da Ravenna, la costruì, aiutato dagli Angeli del Signore, dopo aver avuto diverse visioni dell’Arcangelo Michele, che gli chiese di erigere un luogo di culto in suo onore. Giovanni era arrivato in Piemonte per condurre una vita da eremita e dopo le sollecitazioni angeliche, decise di costruire l’abazia sul Monte Caprasio, affacciato all’imboccatura della Valle, di fronte a quello dove venne poi in effetti eretta. Pare che il sant’uomo diede inizio ai lavori senza ottenere risultati visibili, poiché le pietre posate di giorno, di notte scomparivano misteriosamente e la costruzione non progrediva.
La leggenda narra che una notte Giovanni decise di rimanere sveglio, per scoprire il mistero che impediva la crescita della fabbrica; in effetti egli credeva che la povera gente rubasse i laterizi per rivenderli. Ma sorpreso, dovette ricredersi: appostatosi tra le impalcature di canne, si rese conto che a rubare materiali e malta non erano ladri comuni ma schiere di angeli, che comparivano con il buio e trasportavano le pietre dal Monte Caprasio sul Monte Pirchiriano, quello di fronte. Interpretando questo fatto miracoloso e insolito come volontà divina, San Giovanni decise di costruire l’abazia sul monte opposto; da quel giorno non vi furono più impedimenti e la chiesa fu finalmente ultimata.
Leggende a parte, il visitatore che si arrampica per la strada che porta in cima al monte trova un luogo meraviglioso e denso di spiritualità, che dal 1837 è affidato ai padri Benedettini Rosminiani. La storia, il valore spirituale e il paesaggio che la circonda hanno ispirato lo scrittore Umberto Eco per la stesura del suo “Il nome della Rosa” e rendono la Sacra un luogo che attira curiosi e pellegrini da tutta Europa. Il visitatore che supera il crinale sulla valle e attraversa gli archi rampanti si trova sul Portale dello Zodiaco, poco prima dello Scalone dei Morti, dove fa bella mostra di sé la riproduzione fotografica di un vecchio acquerello, in cui sono ancora visibili le celebri “Mummie”; esse si affacciano ghignanti sopra lo scalone, “abbracciate” ad una grossa croce. I cadaveri dei monaci furono immortalati anche in alcune rare foto, poste come furono allineate contro il muro e protette da una grata, quasi a vigilare l’ingresso e a fungere da monito. Fortunatamente oggi riposano sotto i gradini, ma in passato erano una presenza importante e venerata, anche se macabra. Non c’è dubbio che i cadaveri mummificati provocassero forti emozioni in chi vi passava accanto, numerosi sono gli aneddoti di visitatori che restavano scioccati dalla loro presenza. Pare che la popolazione del posto le venerasse e le abbigliasse come se fossero esseri viventi e le adornassero di fiori. Lo stesso Re Carlo Felice ne restò sconvolto, in una sua visita.
La credulità popolare, come spesso avviene, ha ricamato attorno alla loro presenza molti aneddoti, uno di questi racconta dello spavento di cui fu vittima un certo frate Bernardo, il quale sceso lungo lo Scalone per serrare il portone dopo il tramonto, rimase chiuso all’interno, poiché il vento aveva bloccato i battenti del Portale dello Zodiaco. Mentre tentava disperatamente di attirare l’attenzione dei confratelli, il malcapitato monaco vide un teschio che camminava sui gradini: immaginiamo il terrore che lo invase. Fu salvato dal padre superiore, che accorso alle sue grida, si fece coraggio e sollevò il teschio, facendo fuggire il topolino che si nascondeva all’interno.
Tornando alle mummie, esse furono rimosse definitivamente dalla loro sede solo negli anni ‘30 del ‘900, su richiesta e per volontà di Casa Savoia; riporto il diario redatto dall’impresa che eseguì la rimozione.
17 marzo 1936: “Visita ai lavori dell’Illustrissimo Architetto Vittorio Mestruino che si ferma dal mattino fino alle ore 15 facendosi portare il pranzo da un albergo di S. Pietro. È con lui l’impresario Sig. Maffioli. Chiamato dal suddetto Architetto, mi comunicò la decisione di trasportare le cosiddette mummie o scheletri, posti nella nicchia a destra di chi sale dello scalone, e trasportarli nel sepolcro dei nostri Padri e Fratelli, che si trova sotto lo scalone”.
18 marzo 1936: “Trasporto delle mummie (scheletri nella scala grande dei morti) nella tomba o camera mortuaria sotto lo scalone, già tomba dei PP. e Fratelli Rosminiani. Trasporto ordinato da S. E. Conte De Vecchi, Ministro della Educazione Nazionale. Nel mattino dalle ore 8 alle 10 e mezza due muratori prepararono un ponticello provvisorio per giungere al piano della larga nicchia, rimossero la griglia. Allora il P. Rettore, in cotta e stola nera, col chierico Giuseppe Pattarone, portarono Croce e aspersorio, salirono alle mummie, aspersile e recitate le preghiere rituali, cominciarono coi muratori a riempire di ossa, ossicini sparsi nella nicchia due casse e i muratori li trasportarono nella stanza mortuaria dei Rosminiani (i bocia o manuali scomparvero tutti, impauriti dalla vista dei cadaveri). Sei cadaveri furono trasportati quasi intieri uniti i membri dalla pelle quasi incartapecorita: uno aveva le scarpe unite ai piedi, un altro scheletro era coperto da veste lunga con grembialino e mani giunte; quando tutte le ossa e scheletri furono trasportati in detta stanza mortuaria, uniti insieme, scese il P. Rettore in cotta e stola col detto chierico, asperse coll’acqua Santa, recitò le preci rituali e per le 10 e mezza la mesta funzione era finita. Requie e pace alle anime loro. Pax”.
Non sono di certo questi i motivi per visitare la sacra di San Michele, luogo mistico per eccellenza, ma per la serenità e la vicinanza con il Creatore che le antiche pietre, protese verso il Cielo e avvolte da un silenzio antico, riescono ad infondere. Quindi un motivo in più per unire esercizio fisico, vita all’aria aperta con le necessità spirituali di ognuno.