A San Martino ogni mosto e vino” recita un detto popolare, ma nel nostro Paese, terra di uve magnifiche e vini pregiati, il mosto ottenuto dalla spremitura delle bacche, non sempre finiva, e finisce, nei tini a fermentare.

In Emilia viene da secoli trasformato in aceto balsamico tradizionale di Modena, ottenuto esclusivamente dall’invecchiamento di mosto cotto derivato principalmente da Lambrusco e Trebbiano, e che regala uno dei prodotti italiani più raffinati e apprezzati da tutto il mondo.

Assai lunga è la lista delle tradizioni nelle varie regioni italiane, che annoverano tra le loro prelibatezze alimentari il mosto cotto, liquido denso e dal colore peccaminoso, che ha nutrito, curato e deliziato generazioni per secoli.

Ricordo molto bene mia nonna che a settembre, in Puglia, si faceva portare dai contadini alcuni litri di mosto appena ottenuto dalla pigiatura, per trasformarlo in prezioso “oro scuro”. Lo travasava in un pentolone di rame stagnato, filtrandolo attraverso un panno di lino pulito e liso, affinché tutte le impurità della spremitura venissero catturate.

Il mosto doveva arrivare freschissimo e usato entro un giorno, altrimenti avrebbe cominciato a fermentare e non si poteva più trasformarlo.

Il pentolone veniva messo su un fornello al centro della stanza, collegato alla bombola del gas e iniziava la lenta trasformazione, che durava alcune ore; la fiamma doveva essere bassa per non bruciare il prezioso nettare e occorrevano circa 10 litri di mosto per ricavarne circa 4 di mosto cotto.

Intorno alle due ore dall’inizio della bollitura la nonna preparava della pasta all’uovo fatta in casa, ottenendone delle grosse strisce non troppo sottili, che venivano messe a cuocere nel mosto in preparazione e quello era il primo dolce che si otteneva. Andavano bene pure le reginette, che a me piacevano di più perché restavano sempre un po’ crude ma dolcissime.

Dopo circa tre ore il liquido si scuriva e si addensava; nonna Ida ne prelevava una cucchiaiata e la metteva in un piattino; con lo stesso utensile tracciava una riga dall’alto verso il basso e se la consistenza era quella ideale, le due ali di mosto separate dal cucchiaio non si univano, dimostrando che la viscosità era perfetta.

Ancora caldo veniva travasato nelle bottiglie di vetro, etichettato con la calligrafia incerta e tremula da persona che sapeva appena scrivere, e conservato al buio. Sarebbe stato usato per i dolci del periodo dei morti, oppure per quelli di Natale e se per caso avesse nevicato, mio padre si sarebbe arrampicato sui comignoli del tetto per prendere la neve pulita, che avremmo condito con il mosto cotto, ottenendo una granita povera ma buonissima.

Ricordi simili arrivano di certo da altre regioni, perché il mosto si fa in molti luoghi contadini dell’Italia e ne troviamo traccia in molte ricette.

I dolci a base di mosto cotto sono diffusi soprattutto in Centro e Sud Italia ma ve ne sono anche a Nord: in Campania sono tradizionali i Mostaccioli, biscotti morbidi al mosto cotto ricoperti di cioccolato, in Abruzzo e in Puglia si preparano le Nevole o Cartellate, cialde arrotolate a fiore, fritte e addolcite con mosto e cannella; come dicevo in Puglia, sempre per la Festa dei Morti, si preparano i Pupurati, biscotti al cacao, mosto cotto e frutta secca. È un ingrediente fondamentale per la preparazione di dolci natalizi calabresi e siciliani come i turdilli, la pitta ‘nchiusa e il sanguinaccio.

Naturalmente la dolcezza del mosto cotto si sposa a meraviglia con i formaggi stagionati; per questo in Romagna spesso si accompagnano al Savor e in Piemonte al Cugnà, delle conserve a base di mosto cotto, frutta e spezie.

La moderna arte culinaria lo associa spesso per accompagnare oltre ai formaggi, la carne, il pesce, il gelato o i dessert. Io preparo spesso per i miei ospiti un antico dolce povero pugliese, il grano di San Donato, fatto con grano bollito, condito con mosto cotto, noci, melograni e cannella: tutti lo apprezzano per la sua semplicità e il suo profumo.

Ma veniamo ora alle sue proprietà curative e nutrizionali: il mosto cotto è ricco di antiossidanti e polifenoli, che contrastano l’invecchiamento cellulare e i radicali liberi. È una fonte di energia naturale, grazie agli zuccheri semplici che lo arricchiscono; contiene magnesio, che aiuta a combattere la depressione e a regolarizzare l’intestino. Non esitiamo quindi ad utilizzarlo sia in cucina che per la salute, riscoprendo un antico prodotto povero e legato alla cultura contadina, che ben si sposa con le moderne esigenze nutrizionali e con l’attenzione verso una cucina innovativa ma legata alla tradizione, in un mix di storia, benessere e sperimentazione. Aggiungetelo ai vostri piatti o bevetene un cucchiaino dopo cena come corroborante, vi sentirete subito appagati e addolciti.